Parlare di decrescita, dice Serge Latouche, è come lanciare una sfida, azzardare una provocazione. Per un verso si tratta di un atto iconoclasta, per un altro di un nuovo modo di raccontare il nostro essere qui, ora, nel mondo. Vogliamo provare a mettere in dubbio la divinità che abbiamo adorato o, anche, le mappe e le cornici simboliche dentro a cui ci siamo mossi per secoli e che siamo abituati a confondere con la realtà. Ci si può domandare se sia possibile rimettere in discussione il nostro immaginario, se sia realistico pensare di istituire una società non improntata ad una crescita fine a se stessa. Noi affermiamo che riconoscere la nostra interdipendenza ecologica e sociale, la nostra fragilità umana sia l'unico vero realismo, l'unico modo per evitare di portare a conclusione un processo di adattamento patologico che, consumando il fondamento ecologico su cui ci siamo sviluppati, ci porterebbe al collasso.

Non siamo contro la tecnologia, ma per un'altra tecnologia. Sobria, durevole, sostenibile, conviviale. La capacità di ripensare oggi i nostri assetti tecnologici ci permetterà forse di moderare il rischio di una decrescita obbligata, o autoritariamente imposta domani. Dobbiamo mostrarci capaci di rimettere in gioco i nostri valori di fondo e accettare il rischio di immaginare un dopo-sviluppo, una società di decrescita.

Essere realisti oggi non significa adattarsi ad un sistema che si sta autodistruggendo, ma disporsi ad assumere decisioni lungimiranti, prendendo come riferimento una prospettiva temporale e politica più vasta di quella a cui siamo abituati. E per questo occorre ricostruire un rapporto e un patto tra generazioni: dobbiamo imparare a pensare attraverso la prospettiva di più generazioni e non solo della nostra. Questo richiama inoltre la necessità di creare nuove istituzioni nazionali ed internazionali e/o la radicale riforma di quelle esistenti.

Non si tratta di insegnare il comportamento ideale e nemmeno di colpevolizzare i singoli atti consumistici. La sfida più importante sta piuttosto nella capacità di mettere in campo delle differenti pratiche sociali, relazionali, simboliche. evocative, più ricche umanamente e socialmente, alla fin fine più desiderabili. Dobbiamo affrontare, contemporaneamente. una serie di cambiamenti sottili nel nostro modo di pensare e di essere. Non si tratta di proporre astratte utopie o pianificazioni tecnocratiche: in un mondo complesso non possiamo sapere cosa accadrà o quando, ma possiamo senza dubbio cominciare a muoverci a partire da noi stessi, da dove ci troviamo, dalle nostre relazioni, dal nostro territorio, dai luoghi che abitiamo, mettendo in moto processi virtuosi. In questo senso ci proponiamo di reinventare un'altra idea di bellezza che ci porti a vedere le città, il territorio, i paesaggi, le comunità umane in modo differente.

Si tratta di una ricerca non conclusa, che ci mette in gioco profondamente e radicalmente.
(da www.decrescita.it)